LA STATUA EQUESTRE DEL GATTAMELATA A PADOVA
(Paolo Zambon)
uno degli episodi più rappresentativi di tutta l’arte del Rinascimento.
Tra le due eccezionali opere rinascimentali di Padova, dovute entrambe all’operosità e alla determinazione di due vedove, cioè la cappella Ovetari dipinta dal Mantegna nella chiesa degli Eremitani e la statua equestre del Gattamelata scolpita da Donatello, sembra emergere l’insistenza con la quale la vedova del Gattamelata chiese ed ottenne di celebrare il marito nella sua veste di gran condottiero, con un’opera che corona in modo ineguagliabile la permanenza a Padova di Donatello.
L’erezione della statua equestre ad Erasmo da Narni, detto il “Gattamelata” è uno degli episodi più rappresentativi di tutta l’arte del Rinascimento e corona in modo ineguagliabile la permanenza a Padova di Donatello.
Per conoscere il Gattamelata è necessario occuparci di quelle interminabili guerre che Venezia condusse durante il Quattrocento per aumentare la sua egemonia nella valle Padana. Essendo tutta la storia italiana, soprattutto in quell’epoca, ricca di guerre, nemmeno queste ci aiutano molto ad interessarci del grande condottiero, cui sono tuttavia legati episodi che hanno eccitato la fantasia popolare, uno fra tutti, il trasporto per via di terra di una flotta veneziana dall’Adige a Torbole, attraverso la stretta di Nago, per poter battere i milanesi che, scorrazzando con le loro navi per il lago di Garda, rendevano impossibile la presa di Riva. Con tutti i limiti di tonnellaggio che simili flotte fluviali e lacuali potevano avere, la spedizione merita comunque la massima considerazione.
Mentre passava in rassegna a Verona, alla fine della guerra, le sue truppe vittoriose che avevano liberato Brescia, parve a qualcuno che, chiuso nella sua armatura, il Gattamelata vacillasse un poco, ma soltanto alla fine della rivista parve chiaro che il generale aveva subito un colpo apoplettico, e soltanto il modo perfetto e notevolmente macchinoso con cui era stato messo in sella avevano evitato che l’incidente, da cui il generale non doveva mai più riaversi, risultasse subito evidente nella sua gravità.
Quando la vedova, certamente desolata, anche se ricchissima, e vezzeggiata dai Veneziani che non lesinavano onori ai loro condottieri fedeli, ben sapendo quanto fosse importante e decisiva la dote della fedeltà, commissionò a Donatello la statua, egli afferrò da par suo l’occasione, non esitò ad attribuirgli tutte quelle doti di intelligenza e di temperamento che facevano parte dei suoi ideali di artista e che costruirono fin dagli inizi la base delle sue interpretazioni scultoree prepotenti e drammatiche.
Gli studiosi non hanno mancato di mettere in evidenza le regolarità quasi accademiche della composizione della statua, i quadrati, i triangoli, ora rettangoli ora isosceli, che si potevano tratteggiare idealmente sulle forme della composizione improntata all’evocazione del condottiero, dimenticando di dirci che nessun cavaliere antico era stato così “romano” come il Gattamelata e che il decantato Marco Aurelio era, al confronto, anche se imperatore, tanto meno condottiero del nostro.
Sembra, invece, interessante notare come l’artista abbia saputo affrontare, in questo gruppo equestre, l’arduo compito di far giganteggiare una figura soprattutto per le sue virtù umane, anche se entro una “pietas”, ed una filosofia che non rifiutano la considerazione del divino.
(cfr. Camillo Semenzato, 1990).
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